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Il 27 giugno è la Giornata Internazionale delle Micro, Piccole e Medie imprese, istituita dalle Nazioni Unite per celebrare il contributo delle PMI allo sviluppo economico globale e locale. In particolare, l'ONU riconosce alle PMI un rilievo centrale nella creazione di ricchezza e di posti di lavoro. Per l'occasione, con Roberto Pozzana, Responsabile degli analisti economici di SOSE, vogliamo fare un identikit delle PMI italiane per capire quante sono, di cosa si occupano, quanto lavoro creano e che impatto avrà la recente crisi sul loro sviluppo.
Qui il link alla pagina dedicata sul sito dell'ONU.

Testo Podcast

D: Il 27 giugno è la Giornata Internazionale delle Micro, Piccole e Medie imprese, istituita dalle Nazioni Unite per celebrare il contributo delle PMI allo sviluppo economico globale e locale. In particolare, l'ONU riconosce alle PMI un rilievo centrale nella creazione di ricchezza e di posti di lavoro. Per l'occasione vogliamo fare un identikit delle PMI italiane e rivolgo la domanda a Roberto Pozzana, Responsabile degli Analisti Economici in SOSE: quante sono, di cosa si occupano e quanto lavoro creano le PMI italiane?  

R: Noi siamo abituati a pensare che l’Italia sia il Paese per eccellenza dell’impresa di piccole dimensioni ma di certo si può verificare che non siamo il solo Paese in Europa ad avere un tessuto produttivo largamente dominato dalle MPMI, anzi: nella media UE28 la microimpresa pesa per il 93% mentre in Italia è il 95%, la piccola impresa il 6% mentre in Italia è il 4%, e infine la media impresa rappresenta l’1% dove in Italia è lo 0,5%. 

E’ piuttosto la rilevanza che la micro-piccola impresa italiana assume a livello europeo in termini numerici che rende distintiva la situazione del nostro Paese: la microimpresa pesa infatti sul totale UE per il 16% contro il 12% della Francia, 11% della Spagna, 9% Germania e 8,5% Regno Unito. Mentre la piccola impresa pesa per il 13%, seconda solo alla Germania (26%). Questi dati ci dicono che la struttura produttiva del nostro Paese è sbilanciata verso le dimensioni inferiori.  

E questa caratteristica risulta ancora più evidente considerando i principali settori del nostro sistema produttivo: nel comparto distributivo - che da solo pesa un quarto del totale - nelle Costruzioni (20%) e nel comparto turistico (21%) la presenza della micropiccola impresa è pari al 99% delle imprese, cioè sfioriamo la totalità; solo nel manifatturiero essa risulta lievemente inferiore, ma pur sempre pari al 97%.  

Stando così le cose, il contributo delle PMI all’occupazione è di grande rilievo: varia tra il 75% della Distribuzione Commerciale all’85-88% delle Costruzioni e del Turismo; nella Manifattura, invece, dove l’importanza delle economie di scala nei processi produttivi e il ruolo dell’innovazione tecnologica richiedono dimensioni di impresa superiori, l’occupazione generata dalla micropiccola impresa è limitata al 53%. 

 

D: quanto incidono questi fattori sulla produttività delle PMI italiane?  

R: I dati restituiscono l’immagine di un sistema produttivo fortemente frammentato e questo pone la questione cruciale della crescita di produttività e della capacità di promuovere e diffondere l’innovazione (tecnologica e di processo). Le Micro-Piccole imprese generano solo il 47% del Valore Aggiunto totale e la produttività per addetto risulta largamente al di sotto della performance della Media e Grande Impresa con differenziali che variano dal 40 al 70%. 

 

D: Quanto contano innovazione e digitalizzazione nello sviluppo competitivo delle PMI italiane? 

R: Molto. E infatti la Commissione Europea ha da tempo indicato la strada in questo senso e, attraverso la Smart Specialization Strategy, ha chiesto alle imprese di mettere al centro dei processi produttivi la ricerca e l’innovazione strutturali, una raccomandazione alla quale l’Italia ha risposto con il piano Industria 4.0.  

Ora, se andiamo ad approfondire i comportamenti in base alla dimensione di impresa, troviamo che ancora la microimpresa così come la piccola si trovano in ritardo: gli investimenti immateriali e i brevetti sono stati effettuati dal non più del 6% delle imprese contro il 15%-23% delle imprese medie e grandi; un po' meglio per i nuovi investimenti in macchinari mentre, più in generale, l’adozione di  innovazioni integrate “processo-organizzazione” da cui maggiormente dipende il salto in termini di produttività, resta confinata a meno del 16% tra le microimprese rispetto a oltre il 35% per le medie e grandi.  

Se da un lato, dunque, la elevata frammentazione del sistema produttivo italiano garantisce flessibilità e articolazione a livello territoriale, dall’altro essa rallenta la crescita della produttività e la generazione dell’innovazione. Nell’industria manifatturiera ciò si riflette anche nella capacità di mantenere la competizione all’interno delle Catene Globali del Valore; uno studio effettuato da SOSE qualche anno fa sui distretti della meccanica ha infatti posto in evidenza che la crisi finanziaria del 2008 ha allontanato molte imprese terziste del settore dai mercati internazionali facendole ripiegare su quello nazionale. 

 

D: Quanto inciderà l'attuale crisi creata dalla pandemia da coronavirus sul mondo delle PMI e sul loro possibile sviluppo? 

R: La peculiarità della struttura produttiva centrata sulla micropiccola impresa ne accentuerà la fragilità, considerando che essa opera servendo principalmente la domanda proveniente dal mercato interno; ciò vale non soltanto per il comparto turistico, profondamente colpito dalle restrizioni alla mobilità delle persone, ma anche per le produzioni manifatturiere, per le quali le innovazioni nella tecnologia e nei processi sono fattore di vantaggio competitivo. Le previsioni dell’OCSE per il nostro Paese assegnano nello scenario più favorevole una diminuzione della domanda interna nell’ordine del 12,5% solo parzialmente compensata l’anno successivo da un recupero pari al 5%. E raccomandano una più rapida transizione verso l’adozione di tecnologie digitali che possano aumentare l’efficienza complessiva del sistema.